A tu per tu con Laura Tangorra, scrittrice, madre, donna speciale

A tu per tu con Laura Tangorra, scrittrice, madre, donna speciale

17/04/2019

La vita, innanzitutto

 

Abbiamo lo stesso nome e gli stessi occhi azzurri. Solo che i suoi sono più grandi ed espressivi. Sarà perché è lì che lei ha racchiuso tutta sé stessa.

E poi a tutte e due piace scrivere. Solo che io posso farlo con la penna o digitando sulla tastiera. L'altra Laura no. Lei ha un “eyetracking” ovvero un puntatore oculare che le permette di interagire con il computer muovendo le pupille.

Dialogo con Laura Tangorra e quella “stronza” della sua SLA.

Ammetto che subito dopo aver letto, tutto d'un fiato, un mese fa, l'autobiografico “Sul mio Divano Blu”, scritto da Laura nel 2016, ho desiderato fortemente conoscerla. Ci sono state le lacrime, non lo nego, ma gradualmente da quelle parole usciva, chiara, la fisionomia di una donna attiva e reattiva, rassicurante, persino serena.

Pensavo di portarmi dietro uno strascico d'angoscia e, invece, riposto il volume, questa bella signora dai ricci ribelli, mi travolgeva con la sua grinta, con tante battaglie ancora da combattere, tanti pensieri da condividere, con tanta, tantissima vita.

E allora eccola qui, l'altra Laura, disponibile a dedicarmi un po' del suo tempo per soddisfare la mia curiosità.

 

Chi è Laura, questa biologa amante dei libri e degli animali – un'altra cosa in comune fra noi! - che decide di dedicarsi all'insegnamento?

Fin da piccola sognavo di diventare un veterinario per curare cavalli e mucche. Concluso il primo anno di medicina veterinaria, durante il quale mi sono trovata a dover scuoiare cadaveri di animali per studiarne i muscoli, ho purtroppo preso la decisione, e devo dire anche mal consigliata, di cambiare facoltà. Rimpiango questa scelta ogni giorno, anche se la biologia è molto appassionante e il laboratorio mi piaceva tantissimo. A un certo punto, a ventinove anni e con due figli piccoli, ancora una volta ho dovuto fare una scelta importante, che invece non ho mai rimpianto: volevo essere io a crescere i miei bambini, vivere ogni istante del loro diventare grandi, così, avendo già avuto diverse esperienze di insegnamento, assolutamente positive, ho appeso il camice al chiodo, per portare il laboratorio in classe, nei limiti del possibile. Diventare mamma mi ha fatto innamorare del mondo dei bambini. Loro hanno le stesse caratteristiche che amo negli animali: sono incapaci di fingere, e capaci di un amore senza limiti. È questo il motivo per cui ho deciso di lasciare la cattedra al liceo per accettarne una nella scuola elementare. Ero felice. Non ci mancava niente, desideravamo solo un altro bambino. Poi, al secondo mese di gravidanza è arrivata la diagnosi di SLA, e tutto è cambiato per sempre.

 

Laura è, forse soprattutto, madre. Un amore atavico che spazza via paure e concede inaspettata forza, per loro, per i figli. Quanto la maternità ha inciso sulle tue scelte e sul tuo essere una donna coraggiosa?

Io penso che tutte le mamme siano coraggiose, perché la maternità risveglia gli istinti animali che l'evoluzione non ha cancellato. Il fatto stesso di mettere al mondo un figlio è una scelta coraggiosa. Eppure io sono sempre un po' in imbarazzo quando vengo definita 'coraggiosa' per il fatto di non aver voluto interrompere la gravidanza nel momento in cui mi è stata diagnosticata questa malattia: chiunque l'avrebbe fatto, perché una madre non sacrifica la vita di un figlio per salvare la propria.

 

Oltre che madre sei anche nonna di due bellissimi bambini, Bianca e Tommaso. Che futuro sogni per i tuoi nipoti?

Ciò che mi auguro è che Bianca e Tommaso, come tutti gli altri adulti del futuro, siano capaci di rimediare agli errori che abbiamo commesso noi, riportando armonia tra uomo e natura. E spero che non perdano mai la loro anima bambina, la voglia di scoprire e la capacità di stupirsi, perché questo è il segreto della felicità, e io vorrei solo questo per loro, che siano felici.

 

Noi operiamo in un'associazione, Anteas, che promuove la costruzione di relazioni autentiche, l'andare incontro ai bisogni dell'altro, l'aiuto gratuito, quindi mi viene da domandarti cosa può fare un volontario anche “non specializzato” per essere d'aiuto ad una persona fisicamente fragile.

Non deve mai considerarla fragile anche psicologicamente. Mai decidere per lei, mai comportarsi come fosse un bambino che ha bisogno di una guida. Mai pensare di doverla proteggere dalle emozioni, perché chi vive una disabilità è costretto a vivere e superare esperienze durissime, momenti di sofferenza anche fisica, oltre che emotivamente devastanti, e questo rende forti. Ciò che mi piace delle persone che mi sono vicine e che frequentano questa casa, è che si relazionano con me come se non fossi malata. Parlano con me, non col mio corpo.

 

Fra rassegnazione e speranza chi vince?

Se per rassegnazione intendi accettazione, allora il rapporto con la speranza è di convivenza pacifica e costruttiva, si bilanciano e si tengono a bada a vicenda. Se per rassegnazione intendi proprio l'apatia che nasce dalla perdita della speranza, allora no, vince assolutamente la speranza, altrimenti si è già morti dentro.

 

Il tuo essere una “donna tecnologica” ti consente di essere presente sui social, di rimanere connessa con il mondo, di condividere pensieri e riflessioni. Che mondo vedi e prevedi dal tuo osservatorio?

Ecco, la prossima domanda? No, perché non mi piace molto quello che vedo. Vedo trionfare l'individualismo, che arriva a denigrare l'empatia a suon di ''prima IO''. È diventato legittimo il razzismo, l'odio per il diverso. e chi prima non osava esprimersi, ora non si vergogna più. Adesso vengono allo scoperto come topi al tramonto. Questo mi fa molta paura. Però sono anche convinta che la parte migliore dell'umanità non sia in minoranza. È silenziosa, non grida, ma c'è. Però bisogna tenere alta la guardia, perché la storia insegna che basta una manciata di uomini con un po' di potere, per commettere atrocità: un paio di questi abbastanza squilibrati, gli altri abbastanza codardi e stupidi.

 

Nel tuo libro la chiami “stronza”: ci regali un aneddoto allegro sulla SLA?

Può sembrare strano, ma noi ridiamo tantissimo, anche e soprattutto ironizzando sulla mia malattia. Sarà forse per questo che la mia nipotina Bianca, che ora ha tre anni, vive la mia condizione come qualcosa di assolutamente normale. Un giorno è arrivata l'infermiera che quotidianamente si occupa di rifare le medicazioni ai miei 'piercing' (la cannula tracheostomica e il tubicino per l'alimentazione parenterale) e che Bianca aiuta sempre sentendosi indispensabile. A un certo punto l'infermiera le chiede: "Vai anche tu al mare con la nonna?" "Nooo!" risponde lei, "la nonna non va al mare!"

"Ma certo, parte domani." (era vero). Lei la guarda perplessa, mi guarda, e con la manina aperta verso di me, spiega come fosse una cosa ovvia: "No, lei non può partire perché... perché... ehm... è tutta legata!" Abbiamo tanto riso, eppure lei ha colto la sensazione esatta. È proprio come avere una corda invisibile che avvolge e immobilizza ogni centimetro del corpo. I bambini sono avanti. Bianca è avantissimo.

 

 

La gioia è una cura?

La migliore. Forse più che la gioia, direi la positività, che porta a vedere, ma soprattutto a cercare il lato buono in ogni situazione. L'allegria salva la vita. Riuscire a ridersi addosso, a ironizzare sulla propria condizione, rende tollerabile una realtà di per sé spaventosa.

 

Ci racconti cos'è l'anima, Laura?

L'anima è la parte di noi che conosciamo senza bisogno di vederla. È quella con cui dialoghiamo la sera quando siamo a letto nel buio. Sono i nostri pensieri. È quella parte di noi che prova sentimenti, che ama. L'anima ha bisogno del corpo solo come un mezzo per essere visibile ed entrare in relazione, ma non per esistere.

 

Si conclude così la nostra chiacchierata speciale, per quanto spero di poterne fare altre e altre ancora. Perché il fascino è qualcosa che trascende praticamente tutto e lei, l'altra Laura, ne possiede in grande misura.

Non vuole sentirsi dire che è straordinaria e invece lo è.

Sdrammatizza la malattia polverizzandola con il sorriso, dissolve la paura e gli imbarazzi degli altri, di quelli “sani”, manifestando una spiazzante normalità; riesce a dare valore al conforto dell'esserci con semplicità, rivalutando l'incontenibile potere della tenerezza. Ci fa da bussola, ancora, per orientarci verso le cose importanti e migliori.

Sei grande, ma proprio grande Laura. Grazie.

 

(Laura Ravazzoni – Ufficio Sviluppo e comunicazione Anteas)